Sebbene io sia letteralmente una fucina di creatività (sovente reputata pessima dai poeti contemporanei e da
gran parte dei lettori che i primi usano come punto di riferimento tramite i
quali far valere la propria sensibile e accorta visione attuale, esperta e,
ovviamente, importante, riguardo il panorama più vasto – di cui pochi ne intuiscono il reale valore –
che si possa riscontrare laddove viga, appunto, umana sensibilità nei confronti di ciò che è bello e non solo – la Poesia,
ovvero, che comprende TUTTO per chi se ne interessi, poiché solo Essa può
ovunque ravvisare/vivere e niente altro – e i quali non perdonano a me
personalmente errori comprensibili – ma anche no per alcuni di essi –
isolandomi poiché mantenuto nella loro costante, fedele, denigratoria,
sprezzante e dilettevole ignoranza della mia volgare, banale, infondata e
pressoché nulla poetica) e sebbene io
in primis non desideri né intenda fare di questo blog, a cui gentilmente e con
mia somma gioia il poeta, da me stimato, Fabrizio Raccis mi invitò pochi giorni
orsono a collaborare, un quaderno ove appuntare con ira e disdegno polemiche
nei confronti di ciò che io non stimo, devo necessariamente fare un appunto che
immantinente segue a questa mia introduzione del presente articolo.
Io mi chiamo Alessio Romano, ho
quasi ventisette anni e mi definisco con piena conoscenza del significato di
questo appellativo, un poeta in ogni senso, senza assolutamente badare a
inutili scrupoli da ricollegare necessariamente, qualora, a falsi pudori e
significanti superflua umiltà che in questo caso specifico non sarebbe
giustficata.
Non ho atteso conferme dagli
altri pur confrontandomi molto frequentemente in tal senso, ho scoperto dentro
di me d’essere poeta soffrendone la relativa ricerca di cui i concreti frutti
ho nel tempo ravvisato.
Ho la terza media, ma ciò non è
mai stato motivo di titubanze varie.
Ho anche dipinto, in avanzata
adolescenza, ottenendo ottimi risultati, e sono sempre stato trattato con
spregio e derisione da chi si reputava al mio fianco più, spudoratamente,
intelligente di me e, dunque, più apprezzabile, ricercabile e degno di
attenzione altrui e considerazione.
Venne il giorno in cui vidi i
“frutti” della loro intelligenza e non fui lieto laddove sarei anche potuto
esserlo, poiché privi di contenuto e orribili si presentavano ai miei occhi per
me obiettivi, liberi da pregiudizi che ne implicassero una visione parziale,
corrotta, illusoria.
Me ne addolorai invece.
E questo è il MONDO!
Ebbene, ho scritto tante
“cavolate” a partire dall’idea di me stesso che ingenuamente espressi com’era
(ed era storpiata) in un’intervista fattami, circa tre anni fa, da La Recherche arrivando pubblicamente a
definirmi corrotto (quando ero
solamente depresso): pensavo allora
realmente questo di me ma oggi ho compreso che il mio autoritratto non si
attenne fedelmente alla realtà.
E se io, che scrivevo poesie
(anche versi orrendi, è vero) ero corrotto, non avevo capito assolutamente
niente, né di me, né degli altri.
Certamente non attira soprattutto
un individuo che desidera essere poeta, l’attenzione degli altri su di sé con
simili affermazioni su sé stesso.
Non ha importanza, ciò che mi
preme di acclarare adesso è che col tempo ho dimostrato il contrario rispetto a
ciò che diedi, involontariamente, ad intendere allora,
e non sono stato “perdonato” da
nessuno.
Leggo ovunque le vostre opere, o
presunti poeti che io resto lungi dal prendere in considerazione come tali,
e... perché no? a partire proprio da quelli più affermati e che tanto sono in
voga e appaiono ovunque in questo mondo di inettitudini, indelicatezze,
apparenza e inadempienze, voi che vi dite ORIGINALI, VERI, SENSIBILI E IDONEI
AL MESTIERE, e che create forme di poesia assolutamente prive di qualsivoglia
ritmo (nonché profondità di contenuti) e contestate impuntandovene chi da voi
casualmente differisca per temi soprattutto, ma per voi, in primis, per stile;
voi che cantate la nullità o, talvolta, l’assurdità degli ideali che ricercate
nella poesia e aborrite nella vita con quei gesti che celatamente vi contraddicono
di fronte agli sguardi indifferenti della contemporaneità che come voi si
rivela sempre più – e inorridisco, divengo sempre più freddo e distante, e più le mie scelte mi allontanano più ho la
sensazione di essere allontanato e, per superficialità, anzi, devo dirlo, malvagità, io vengo assiduamente preso
in considerazione per i difetti che mi vengono imputati e non per le qualità
che posseggo in abbondanza.
E non si può più certamente dire
che sia un caso!.
Un anno fa decisi di
intraprendere gli studi della metrica della poesia italiana, che non ho ancora
portato a termine.
Ma prima di allora mi ero già
cimentato nella creazione di sonetti senza aver studiato niente ma con la
conoscenza dovuta agli apprendimenti autonomi tramite la lettura dei più grandi
poeti passati.
Iniziai a studiare metrica perché
volevo sapere se ciò che scrivevo si attenesse ad essa.
Alcune opere, con mia grande
gioia, erano perfette (altre: quasi) senza che io conoscessi le relative
regole.
L’opera su cui vorrei attirare la
vostra attenzione s’intitola La fine di una corte ed è tratta dal mio quarto libro La mia birra è una dolce compagna.
Mi preme sottolineare che per
affinare quest’opera stavo impazzendo poiché desideravo sapere se fosse
perfetta senza ancora sapere le nozioni di base che questa certezza mi
avrebbero permesso.
Cercai dunque su internet siti e
indirizzi e-mail di persone che se ne intendessero. Scrissi a professori il cui
nome mai conobbi in precedenza, alcuni mi risposero per non rispondermi più,
altri non mi risposero mai.
C’è chi mi disse di scrivere cose
più attuali e non cadere nella banalità “cuore, sole, amore”, c’è chi mi trattò
con volgarità.
La poesia La fine di una corte ha partecipato ad uno dei più importanti
concorsi di una delle più importanti associazioni “esperta del campo”, mi fu
promesso che mi sarebbero stati fatti notare gli errori qualora presenti: non
fu fatto, anzi, non fu fatto assolutamente niente di ciò che si proponevano,
fui trattato con disprezzo e dovetti applicarmi al fine di avere notizie riguardati
tale concorso.
Inviai altre due poesie (sonetti)
al concorso e dopo e solamente dopo la mia insistente, ridondante, richiesta di
informazioni, con sufficienza mi venne comunicato che mi ero qualificato
affinché una delle mie opere venisse pubblicata a pagamento (cifra esorbitante,
indegna di essere qui riportata) nell’antologia del concorso indetto, devo a
voi ricordare, da veri professionisti e poeti di mestiere.
Oggi un professionista, nonché un
poeta di mestiere, è per me solamente un borioso, altezzoso, arrogante e
presuntuoso, piccolo individuo che abusa delle qualifiche che i suoi “amici”,
può essere anche il mondo intero, gli attribuiscono.
Questa poesia io la ritengo il
mio capolavoro.
Ho letto le poesie della relativa
antologia e preferisco non fare commenti.
Chiudo rivolgendomi a chi dovesse
obbiettare al mio articolo la presenza di una sola delle mie opere, che solo
questa io desidero oggi esporre non per volgari e macchinose astuzie, ma
unicamente per sfidare costoro ad avere il coraggio di riconoscere che io non
mi vergogno né ho paura di mostrare una parte di me solamente, poiché qui sono
e rimango, e chi vuole potrà sempre vedermi per intero.
Non costruisco un’immagine di me
attraverso internet, come si potrebbe pensare, e mai lo farò!.
Ognuno, infine, ha i suoi
“segreti”, e anche nella “vita vera” li custodisce.
Io lo prendo come uno sfogo, un testamento poetico davvero sublime! Alla tua salute poeta!
RispondiEliminaChe sia uno "sfogo" sono anche io a dirlo, per quanto riguarda l'essere un "testamento poetico" non ci avevo pensato.
EliminaGrazie!