I
Quello schiavo erudito indubbiamente
fu un giovanotto
in forze che per fame
un giorno se ne
andò per il reame
in cerca d’un
mestiere promettente;
allora un Duca avaro, inconcludente,
assueto a
soddisfare le sue brame
si interessò al
fanciullo e ordì le trame
per prenderlo al
suo séguito; il demente
accetta di buon grado (è pure grato)
e la mattina dopo
è nel palazzo
del Duca, e il
suo lavoro viene esposto
da chi nelle cucine ha lavorato
per molto tempo e
poi lasciò quel posto
perché fedele al
Duca di ‛Sto Cazzo.
II
Il giovanotto è in gamba per il Duca:
fa tutto, riesce
in tutto, sbaglia poco,
non arde in lui
quel singolare fuoco
che a prodigarsi
in lodi assidue induca
ma è bravo e si richiede che conduca
la sua persona
bene ad ogni gioco,
e in breve tempo
è divenuto cuoco
e in meno ancora
consigliere; il Duca
lo tiene di gran conto e nel ducato
corre la voce che
vi sia uno “schiavo”
intraprendente e
onesto; e il tempo passa;
il regno, come al solito, sia ignavo
soltanto per
vecchiezza è ormai cambiato
e la sua voce
anziché balda è lassa.
III
Il bravo servo di quel gran ducato
ha ben servito
questo mondo, e adesso
è a casa propria;
ma non è lo stesso.
Dal Duca venne
ieri congedato.
Un tempo (addietro), il servo affezionato
che aveva svolto
ligio ed indefesso
l’incarico
assegnatogli era fesso
ché al termine
del ruolo era crollato
nella disperazione; ma lo schiavo
“di adesso”,
molto bene distingueva
la differenza fra
colui che viene
(e qui d’essersi illuso rimpiangeva,
fors’anche
d’essere rimasto bravo)
amato e a chi
sian messe le catene;
ma ad ora si sa bene:
povero resta lo schiavo del reame
pagato a peso
d’oro o aduso al rame.
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