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lunedì 12 novembre 2012

La fine di una corte



Sebbene io sia letteralmente una fucina di creatività (sovente reputata pessima dai poeti contemporanei e da gran parte dei lettori che i primi usano come punto di riferimento tramite i quali far valere la propria sensibile e accorta visione attuale, esperta e, ovviamente, importante, riguardo il panorama più vasto – di cui pochi ne intuiscono il reale valore – che si possa riscontrare laddove viga, appunto, umana sensibilità nei confronti di ciò che è bello e non solo – la Poesia, ovvero, che comprende TUTTO per chi se ne interessi, poiché solo Essa può ovunque ravvisare/vivere e niente altro – e i quali non perdonano a me personalmente errori comprensibili – ma anche no per alcuni di essi – isolandomi poiché mantenuto nella loro costante, fedele, denigratoria, sprezzante e dilettevole ignoranza della mia volgare, banale, infondata e pressoché nulla poetica) e sebbene io in primis non desideri né intenda fare di questo blog, a cui gentilmente e con mia somma gioia il poeta, da me stimato, Fabrizio Raccis mi invitò pochi giorni orsono a collaborare, un quaderno ove appuntare con ira e disdegno polemiche nei confronti di ciò che io non stimo, devo necessariamente fare un appunto che immantinente segue a questa mia introduzione del presente articolo.

Io mi chiamo Alessio Romano, ho quasi ventisette anni e mi definisco con piena conoscenza del significato di questo appellativo, un poeta in ogni senso, senza assolutamente badare a inutili scrupoli da ricollegare necessariamente, qualora, a falsi pudori e significanti superflua umiltà che in questo caso specifico non sarebbe giustficata.
Non ho atteso conferme dagli altri pur confrontandomi molto frequentemente in tal senso, ho scoperto dentro di me d’essere poeta soffrendone la relativa ricerca di cui i concreti frutti ho nel tempo ravvisato.
Ho la terza media, ma ciò non è mai stato motivo di titubanze varie.
Ho anche dipinto, in avanzata adolescenza, ottenendo ottimi risultati, e sono sempre stato trattato con spregio e derisione da chi si reputava al mio fianco più, spudoratamente, intelligente di me e, dunque, più apprezzabile, ricercabile e degno di attenzione altrui e considerazione.
Venne il giorno in cui vidi i “frutti” della loro intelligenza e non fui lieto laddove sarei anche potuto esserlo, poiché privi di contenuto e orribili si presentavano ai miei occhi per me obiettivi, liberi da pregiudizi che ne implicassero una visione parziale, corrotta, illusoria.
Me ne addolorai invece.
E questo è il MONDO!

Ebbene, ho scritto tante “cavolate” a partire dall’idea di me stesso che ingenuamente espressi com’era (ed era storpiata) in un’intervista fattami, circa tre anni fa, da La Recherche arrivando pubblicamente a definirmi corrotto (quando ero solamente depresso): pensavo allora realmente questo di me ma oggi ho compreso che il mio autoritratto non si attenne fedelmente alla realtà.
E se io, che scrivevo poesie (anche versi orrendi, è vero) ero corrotto, non avevo capito assolutamente niente, né di me, né degli altri.
Certamente non attira soprattutto un individuo che desidera essere poeta, l’attenzione degli altri su di sé con simili affermazioni su sé stesso.
Non ha importanza, ciò che mi preme di acclarare adesso è che col tempo ho dimostrato il contrario rispetto a ciò che diedi, involontariamente, ad intendere allora,
e non sono stato “perdonato” da nessuno.

Leggo ovunque le vostre opere, o presunti poeti che io resto lungi dal prendere in considerazione come tali, e... perché no? a partire proprio da quelli più affermati e che tanto sono in voga e appaiono ovunque in questo mondo di inettitudini, indelicatezze, apparenza e inadempienze, voi che vi dite ORIGINALI, VERI, SENSIBILI E IDONEI AL MESTIERE, e che create forme di poesia assolutamente prive di qualsivoglia ritmo (nonché profondità di contenuti) e contestate impuntandovene chi da voi casualmente differisca per temi soprattutto, ma per voi, in primis, per stile; voi che cantate la nullità o, talvolta, l’assurdità degli ideali che ricercate nella poesia e aborrite nella vita con quei gesti che celatamente vi contraddicono di fronte agli sguardi indifferenti della contemporaneità che come voi si rivela sempre più – e inorridisco, divengo sempre più freddo e distante,  e più le mie scelte mi allontanano più ho la sensazione di essere allontanato e, per superficialità, anzi, devo dirlo, malvagità, io vengo assiduamente preso in considerazione per i difetti che mi vengono imputati e non per le qualità che posseggo in abbondanza.
E non si può più certamente dire che sia un caso!.

Un anno fa decisi di intraprendere gli studi della metrica della poesia italiana, che non ho ancora portato a termine.
Ma prima di allora mi ero già cimentato nella creazione di sonetti senza aver studiato niente ma con la conoscenza dovuta agli apprendimenti autonomi tramite la lettura dei più grandi poeti passati.
Iniziai a studiare metrica perché volevo sapere se ciò che scrivevo si attenesse ad essa.
Alcune opere, con mia grande gioia, erano perfette (altre: quasi) senza che io conoscessi le relative regole.

L’opera su cui vorrei attirare la vostra attenzione s’intitola La fine di una corte ed è tratta dal mio quarto libro La mia birra è una dolce compagna.
Mi preme sottolineare che per affinare quest’opera stavo impazzendo poiché desideravo sapere se fosse perfetta senza ancora sapere le nozioni di base che questa certezza mi avrebbero permesso.

Cercai dunque su internet siti e indirizzi e-mail di persone che se ne intendessero. Scrissi a professori il cui nome mai conobbi in precedenza, alcuni mi risposero per non rispondermi più, altri non mi risposero mai.

C’è chi mi disse di scrivere cose più attuali e non cadere nella banalità “cuore, sole, amore”, c’è chi mi trattò con volgarità.

La poesia La fine di una corte ha partecipato ad uno dei più importanti concorsi di una delle più importanti associazioni “esperta del campo”, mi fu promesso che mi sarebbero stati fatti notare gli errori qualora presenti: non fu fatto, anzi, non fu fatto assolutamente niente di ciò che si proponevano, fui trattato con disprezzo e dovetti applicarmi al fine di avere notizie riguardati tale concorso.
Inviai altre due poesie (sonetti) al concorso e dopo e solamente dopo la mia insistente, ridondante, richiesta di informazioni, con sufficienza mi venne comunicato che mi ero qualificato affinché una delle mie opere venisse pubblicata a pagamento (cifra esorbitante, indegna di essere qui riportata) nell’antologia del concorso indetto, devo a voi ricordare, da veri professionisti e poeti di mestiere.
Oggi un professionista, nonché un poeta di mestiere, è per me solamente un borioso, altezzoso, arrogante e presuntuoso, piccolo individuo che abusa delle qualifiche che i suoi “amici”, può essere anche il mondo intero, gli attribuiscono.

Questa poesia io la ritengo il mio capolavoro.

Ho letto le poesie della relativa antologia e preferisco non fare commenti.

Chiudo rivolgendomi a chi dovesse obbiettare al mio articolo la presenza di una sola delle mie opere, che solo questa io desidero oggi esporre non per volgari e macchinose astuzie, ma unicamente per sfidare costoro ad avere il coraggio di riconoscere che io non mi vergogno né ho paura di mostrare una parte di me solamente, poiché qui sono e rimango, e chi vuole potrà sempre vedermi per intero.

Non costruisco un’immagine di me attraverso internet, come si potrebbe pensare, e mai lo farò!.

Ognuno, infine, ha i suoi “segreti”, e anche nella “vita vera” li custodisce.

2 commenti:

  1. Io lo prendo come uno sfogo, un testamento poetico davvero sublime! Alla tua salute poeta!

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    1. Che sia uno "sfogo" sono anche io a dirlo, per quanto riguarda l'essere un "testamento poetico" non ci avevo pensato.
      Grazie!

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