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lunedì 14 novembre 2016

ARCHITETTURE FRAGILI - POESIA


"I fatti della vita umana, pubblica o privata, sono così intimamente legati all’architettura..."
Balzac


Architetture fragili
come anneriti carboni del tempo,
cortili deserti
di giostre in disuso,
cadono gli archi
nel gioco solitario,
ritorna più freddo
il capello della galassia.
Il tuo seno spoglio
è un campanile di ferro,
tra le pieghe
della tua pelle
si dipingono cattedrali.
Ti assale silente
il dominio dell’uomo,
cola tra i solai 

questo veleno d’artifizio.
La vita è troppo vasta
per essere rinchiusa
tra le pieghe di un corpo.





testo:
©Fabrizio Raccis
immagine: Barbara Bezina art


venerdì 28 ottobre 2016

Recensione su Il pasto dei corvi di Fabrizio Raccis

LA MUSA è UN CORVO DALL'OCCHIO IMPLACABILE


Un’abbondante raccolta di poesie, un succulento pasto. Il pasto dei corvi. Il mio occhio vigile ti assale / mentre discendi da un bosco tetro“, "sono nere le mie piume / come il manto della morte / è il mio colore“. Il corvo attende, come l’aquila di Prometeo ha un pasto sicuro: il poeta è incatenato ad un imperativo interiore; scriverà, intingendo la penna nell’anima, nel dolore e nell’estasi, nella noia e nell’assenzio, nell’amore e nella contemplazione. 
Leggendo le poesie del Raccis, si è un po’ come il corvo, sicuri che alla fine scriverà, perché è ineluttabile, perché il poeta non può esistere in forma diversa. Egli lo sa, si riconosce ontologicamente poeta e scrive vivendo, nelle forme e nelle ispirazioni più varie; come chi attraversa un ghiaione, sdrucciola, ogni volta suo malgrado, nella poesia, trascinato dalla valanga che egli stesso provoca. 
Talvolta i temi sparsi ricordano penne strappate a viva forza; nere come la morte, ma lucide, come la fedeltà a se stesso, il distacco da ogni cromatismo o servilismo espressivo. La poesia di Fabrizio Raccis non è indulgente; raccoglierla vuol dire esserne contagiati, divenirne complici. Si ha, è vero, l’impressione di una certa pigrizia nello spiccare il volo; ma è sicuro, volerà con ali possenti, quando il corvo vorrà.

Nicolò Gueci

link al libro "Il pasto dei corvi":

mercoledì 6 novembre 2013

Rubrica di poesia: Les Poètes maudits




Ciò che naturalmente fu creato
in terra o n'aere o n'acqua, che l'om vede,
a segnoria de l'uom fu tutto dato
e si conduce e vive a sua mercede..
Giovanni Corona

Cecco Angiolieri-canto CXIX da Rime



La poesia di del Caro Giovanni Corona.


Venne celebrato nella sua prima raccolta poetica come un caso raro in Sardegna, fuori dalla norma, questo perché l'opera poetica di Giovanni Corona nato a Santu Lussurgiu (OR) il 7\12\1914 venne all'evidenza proprio nel 1988 ad un anno dalla sua scomparsa.
Nelle note biografiche della sua raccolta si parla di un giovanissimo Giovanni con la vocazione per la poesia fin dalla tenera età, ma chiusa ahimè in una sorta di pudore tanto più difficile da capire considerando la commovente apertura dell'autore al sociale o per la sua allora, originale pressione espressiva. Il continuo scavo sulle inquietudini dell'esistenza, conduce il destinatario a orizzonti di conoscenza o scorzi di verità poetiche stimolanti, riecheggiano oggi queste parole ponderate con cura da Renzo Cau che ha avuto il compito di stilare la prima raccolta poetica “Richiamo d'amore” E. Gasperini Editore 1988.
E' una poesia delicata quella di Corona, delicata e al quanto nobile da trascinarsi tra la sofferenza di una desolata solitudine ed i suoi egoismi, al mistero dell'ignoto che da sempre ci spinge a cercare chini attorno a noi con una piccola luce tra le mani nella dura timidezza della tortora un ricordo a noi ormai poco chiaro.

Adesso che la sua voce
giunge dal mare
dell'ignoto, qui
dentro me stesso
dentro la notte
delle lacrime-sangue
della realtà e dilata ora
sulla mia pelle
con la luce del mistero.
Nella stanchezza
per i sonni induriti
con la timidezza
della tortora, fluttua
il ricordo della casa lontana
e di una parola fedele
prima che calassero
i freddi inverni della guerra.
S'innalzano le sue mani lievi
come una piuma, e vengono
fino a me, chiare luce e vita
d'un tempo, tra le rovine del mio cammino
sopra questa solitudine
di egoismi.

Giovanni Corona-Luce del mistero dalla raccolta
“Sassi della mia terra” Gasperini Editore 1988 Cagliari


Viene all'evidenza il possente immaginario del poeta sardo, che riesce a creare come diceva Cau. Un insieme di sottili legami interni, quei modelli alternativi della vera poesia, la poesia assoluta nell'espressione ovvero la “Maudits”, spoglia di emozioni gridate e sempre fascinosamente disposta dall'attento gioco del significante.

sabato 1 dicembre 2012

La tomba di Poe poesia di Stéphane Mallarmé

TRADUZIONE A CURA DI Raccis Fabrizio


 
Cosa in lui stesso alfine l'eternità potrà mutare
il poeta suscita con una spada nuda
il terrore del suo secolo che non ha conosciuto
che la morte ha trionfato in quella voce estranea!

Essi, come un vile sfogo d'idra che almeno una volta
ha udito l'angelo, danno un senso più puro
alle parole della tribù, gridano a quella stregoneria bevuta
nel flusso senza onore di qualche miscela nera.

Del sole e della nube ostile, o soffro!
Con le nostre idee scolpite su un basso rilievo
dove la tomba di Poe di bagliore s'adorna,

Calmo blocco così in basso caduto in un disastro oscuro
che il granito almeno in eterno mostrerà il suo limite
ai neri voli del blasfemo sparsi nel futuro.

Tombeau d’Edgar Poe 

 di Stéphane Mallarmé


TEL qu’en Lui-même enfin l’éternité le change,

Le Poëte suscite avec un glaive nu
Son siècle épouvanté de n’avoir pas connu
Que la mort triomphait dans cette voix étrange!

lunedì 26 novembre 2012

Annabel Lee poesia di Edgar Allan Poe

 Traduzione a cura di Raccis Fabrizio




E 'stato molti e molti anni fa,
in un regno in riva al mare,
che viveva una fanciulla che potrete chiamare
con il nome di Annabel Lee;
e viveva questa fanciulla con non altro pensiero
di amare e di essere amata da me.

Eravamo bambini io e lei,
in questo regno in riva al mare;
ma abbiamo amato con un amore che è stato più che amore-
io e la mia Annabel Lee;
con un amore che gli alati serafini in cielo
invidiarono a lei ed a me.

E questa fu la ragione per cui, molto tempo fa,
in questo regno in riva al mare,
un vento soffiò da una nube, e gelò
la mia bella Annabel Lee;
in modo che i suoi nobili parenti vennero
e la portarono via da me,
per rinchiuderla in un sepolcro
in questo regno in riva al mare.

Gli angeli, non più così felici in cielo,
riversarono la loro invidia per lei e me-
sì – fu per quella ragione (come tutti sanno,
in questo regno in riva al mare)
che quel vento irruppe dalla nube quella notte,
raggelando e uccidendo la mia bella Annabel Lee.

Ma il nostro amore era più forte di gran lunga che l'amore
di quelli che erano più anziani di noi-
di molti più saggi di noi-
e né gli angeli nel cielo,
né i demoni sotto il mare,
mai potran separare la mia anima dall'anima
della bella Annabel Lee.

domenica 25 novembre 2012

Fantasma

Il vento spegne
quest'ultima candela,
nella grotta
riposano le ossa
consumate
di eterni amanti.
Non posso
che essere geloso
di tale amore,
sulla mia zattera
percorro questo cunicolo
e mi sento solo.
Mi sento solo
nell'abisso,
e se un tempo
la tua voce
illuminava
il mio cammino;
Ora che sono
sul punto di cadere,
cado, come
un corpo morto cade.





sabato 24 novembre 2012

Les poètes Maudits


"Dolore del mio dolore! La vita se la mangia il tempio e l'oscuro nemico che ci rode il cuore e si rafforza col sangue che perdiamo." C. Baudelaire
Le poesie eretiche di Morfeo


Morfeo l’eretico suona come una vendetta, una presa di coscienza delle avversità che l’uomo subisce, ha subito e deve ancora subire. In questa bellissima raccolta poetica, l’uomo si ritrova faccia a faccia con quell’entità spirituale, quel padre severo, che quando cadi ti rendi conto che non è presente, è sempre in giro in cerca della gloria.. Questi versi oltrepassano le viscere di quei personaggi austeri e bigotti come una lama rovente, parlano di Dio, di suo figlio, del primo essere umano Adamo:

Così rimase Adamo in quella valle,
ad aspettare che, risplendesse il sole.
Ma è sempre buio..

Raccontano la spiritualità infranta di un poeta, che non ha peli sulla lingua, che non teme il giudizio divino, non teme la morte davanti ad un ceppo circondato da rovi pronti per essere accesi. L’eretico e le sue eresie poetiche, troppo profonde da essere scartate e lasciate su un tavolo in completa solitudine. Sono pensieri, riflessioni che squarciano l’animo di chiunque si lasci coinvolgere in questa lettura molto essenziale, che possiede tratti di puro e sfrontato talento. Antonio Catalano in questa raccolta parla da eretico, da uomo comune, da cittadino del mondo che con una brutalità incantevole, non riesce a sopportare questa visione di un mondo che crolla sotto terremoti, sotto catastrofi troppo grandi perfino per Dio.

Abbandonato a terra
come sterco in mezzo ai vermi
a cominciar la terra.